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Intervista con Davide Palma

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view post Posted on 23/3/2020, 11:46
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Intervista con Davide Palma

“Something’s Gotta Swing”, è l’opera prima del cantante crooner Davide Palma che è stata pubblicata dall’etichetta Emme Record Label il 18 febbraio 2020. Ecco cosa ci ha raccontato nell’intervista gentilmente rilasciata…

Quanto c’è voluto per mettere insieme il tuo album, “Something’s Gotta Swing”?
Dal punto di vista musicale, l’ideazione e la scrittura degli arrangiamenti hanno richiesto circa tre settimane di lavoro. I brani che ho scelto fanno parte del mio repertorio musicale da parecchi anni; spesso capitava che durante la preparazione per un concerto o durante l’esecuzione stessa, mi venissero in mente possibili arrangiamenti per i brani che cantavo.
Credo che, come un po’ in tutti i processi creativi, l’idea che infine metti in pratica è in realtà nella tua mente da tempo. Bisogna attendere il momento in cui si è pronti a percepirla e, su questa base creativa, poi costruire il resto.

Con quale criterio hai scelto i pezzi da inserire in questo disco?
Per Something’s Gotta Swing l’idea di base che ho avuto è stata quella di servirmi di un repertorio che bene si prestasse allo swing e che fosse però al tempo stesso versatile e rivolto ad un modo di suonare più moderno e hard bop. Faccio l’esempio della traccia numero 5: Taking A Chance On Love. Esso è un brano tipico dello swing, con un’armonia ed una melodia piuttosto lineari. L’arrangiamento con cui è stato registrato nel disco lo propone in una chiave più moderna, che non stona ed è resa naturale grazie a questa sua versatilità. Il mio discorso non vuole risultare una ricerca cervellotica, ma anzi è un’intenzione verso quella linea sottile che separa lo swing dall’ hard bop. Una linea che più la si cerca, più diventa sottile e che più la si sente, più ci si avvicina.

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b>Dedichi tante ore allo studio ed al perfezionamento artistico?
Normalmente cerco di assicurare uno studio quotidiano di un paio d’ore al giorno.
Di solito dedico un po’ più di mezz’ora allo studio del canto lirico. Anche se non ambisco ad una carriera in questo settore della musica trovo che sia uno studio, una tecnica ed una disciplina molto importante, a cui sono molto legato. Avendolo approfondito ormai da un po’ di anni, posso dire che lo studio classico del mio strumento mi ha dato e sta dando molto.
Di seguito (o anche in orari diversi della giornata) dedico un’oretta e mezza allo studio jazzistico. Di solito dò la precedenza allo studio del canto jazz, ma cerco di assicurare una buona regolarità anche nello studio pianistico (specialmente se da lì a poco ho un concerto). Lo studio del pianoforte e della voce si influenzano vicendevolmente.
Tutto va tarato in base agli orari della giornata. Capita che ci siano giornate più “piene” ed altre invece con più tempi liberi in cui dedicarsi allo studio del proprio strumento.

Quando si canta, quanto contano cuore e passione?
Quanto contano…. Praticamente possiamo dire che contano e cantano tutto loro.
Il mio maestro di canto lirico spesso ripeteva quanto l’interpretazione in quel suono certamente eccellente, più della vocalità e della grandezza dell’emissione, avesse reso grandi i Grandi del bel canto. Se questo vale per la lirica vale sicuramente anche per il jazz, che io ritengo essere una delle più libere e disponibili forme musicali per l’interpretazione.
Sicuramente è importante avere un buon bagaglio tecnico canoro, musicale, specialmente quando si propongono brani resi celebri molti anni prima dai Grandi cantanti del jazz. Ma il cuore e i sentimenti che la musica suscita in me e nell’ascoltatore sono tutto.

Raggiungere un proprio stile ed identità, quanto è importante per un artista?
E’ importante nella misura in cui si raggiunge senza forzature o atteggiamenti innaturali. La nostra arte è lo specchio della nostra anima e quindi tutti in teoria abbiamo un’arte. La bellezza poi si manifesta nel come si riesce a trasmettere la propria arte e, assicurandoci una totale naturalezza e fedeltà ad essa, quanto questa riesca ad emozionare gli altri, emozionandoci noi stessi.
In poche parole: è importante raggiungere una propria identità artistica nella tranquillità di essere se stessi.

La semplicità è, per un artista, la maniera migliore di arrivare al cuore dell’ascoltatore?
Senz’altro la semplicità è la maniera migliore per un artista di arrivare al proprio cuore. Semplicità intesa come naturalezza, senza forzature. Emozionarsi è necessario per trasmettere un’emozione al pubblico e cercare di coinvolgerlo. La semplicità non si definisce nel grado di complessità delle cose che si fanno (o in questo caso, della musica più o meno difficile che si suona), ma piuttosto nella tranquillità e serenità del modo in cui si trasmettono e si riescono a comunicare.

Quali sono gli artisti che più ti piacciono?
Parlando di jazz, i cantanti come Frank Sinatra, Mel Torme, Sarah Vaughan, Anita O’ Day, Nat King Cole, Sammy Davis jr, Tony Bennet…
Ma sono anche molti i musicisti che ispirano il mio percorso di cantante e non: Errol Garner, Oscar Peterson, Red Garland, Sonny Stitt, Chet Baker, Paul Chambers…
Per poi citare compositori come Cole Porter, Van Heusen, Mercer…

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Oggi come vedi il mondo musicale giovanile?
I ragazzi sono sempre pieni di energia e di nuove idee. Questo è bellissimo, perché rende la musica che ci circonda (jazz o altri generi) sempre in fermento. Bisogna dire che, come in un sistema dove la domanda è regolata dall’offerta e viceversa, a volta la società in cui viviamo non permette la massima espressione artistica, vuoi per motivi di interesse, vuoi per motivi di investimenti culturale ed economico. Ma la cosa magica dell’arte è che vive dentro ognuno di noi e che è sempre pronta a manifestarsi, per essere accolta, nel momento in cui l’artista e la società insieme sono pronti.

Quanta importanza riveste per te il lato “live” del tuo lavoro?
Per me e per la musica con cui lavoro, il jazz, la performance live è fondamentale. Reputo il jazz una delle forme d’intrattenimento più riuscite. Quando sono stato a New York, l’anno scorso, mi sono resoconto dell’importanza che questa musica dà alla comunicazione. Una comunicazione spesso subliminale, che si fonda su una cultura ed un retaggio a cui la gente è abituata e di cui che ha bisogno. Questo solo il live può regalarlo.
Inoltre c’è anche un discorso legato alle sensazioni e all’adrenalina che il musicista, performer, prova prima e durante l’esibizione dal vivo.
Direi quindi che il pubblico e il musicista rappresentano due parti generanti una simbiosi indissolubile.

Ci sono altre persone che hanno collaborato per la riuscita di questo disco, che ti va di citare?
Something’s Gotta Swing è un’opera che ha visto l’intervento di molti professionisti, i quali hanno svolto un ottimo lavoro e dato un contributo artistico importante.
Fra tutti vorrei citare i musicisti che hanno collaborato alla registrazione: Tiziano Ruggeri (tromba), Piersimone Crinelli (sax baritono), Andrea Candela (piano), Marco Loddo (contrabbasso), Emanuele Zappia (batteria). Colgo l’occasione per rinnovare loro i miei ringraziamenti, per l’apporto che mi aspettavo e che hanno dato, ma soprattutto per quello che invece non immaginavo.
Un ringraziamento per l’ottimo lavoro svolto va di riguardo anche al grafico che ha curato il disco nella sua totalità, Riccardo Gola e al fotografo Cristiano Pacchiarotti.
Sono rimasto molto soddisfatto del lavoro svolto in fase di recording, mixing e mastering da parte del personale del Tube recording Studio.
Infine un ringraziamento va ad Enrico Moccia, per aver scelto di pubblicare Something’s Gotta Swing per la sua etichetta Emme Record Label.

Per chiudere, come vedi l’utilizzo della tecnologia nelle canzoni?
La musica è una materia che evolve con la tecnologia, basti pensare agli strumenti di 300 anni fa e a quelli di adesso. Mi viene spesso in mente come l’invenzione del microfono abbia indotto i cantanti a passare da una tecnica lirica, quindi acustica che necessita di alcune sonorità per “suonare”, ad una tecnica molto più personale, che genera un suono più naturale, grazie al sostegno dell’amplificazione. Questa è stata una vera e propria rivoluzione nel modo di cantare, che ha portato alla nascita di interpreti con diverse sfaccettature, rispetto a prima.
Senza dubbio la musica e gli artisti fanno bene a seguire la tecnologia, usufruendo degli odierni mezzi di riproduzione del suono. D’altro canto io mi sento ancora attratto e molto fedele alle sonorità della musica che più di tutte mi emoziona: il jazz degli anni ’50.

Per ulteriori news: www.emmerecordlabel.it/release/somethings-gotta-swing/
 
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