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Le Mille e una Notte - Tempere originali di Duilio Cambellotti

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view post Posted on 13/1/2010, 17:53
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Little Nemo Art Gallery presenta la mostra:

“Le Mille e una Notte”
Tempere originali di Duilio Cambellotti


A cura di Santo Alligo in collaborazione con “Archivio dell’Opera di Duilio Cambellotti”, Roma.

Per la prima volta in esposizione e disponibili per la vendita le venti tempere ad opera di uno dei più versatili autori del Novecento che compongono per intero il corredo iconografico dell’opera edita nella collana de la “Biblioteca dei Ragazzi” dell’Istituto Editoriale Italiano nel 1913.

“Cambellotti è stato indubbiamente, a cavallo dei suoi secoli, il tecnico più esperto, inventivo e geniale dell’arte italiana…”
(cfr. Giulio Carlo Argan, introduzione in “Il Buttero”).

Dal 22 gennaio al 13 febbraio 2010
Little Nemo Art Gallery Nuovo Spazio Art&Co.Mix
Via Ozanam 7 (interno cortile), Torino.

Orari: 15,30-19,30 da martedì a sabato. Ingresso libero
Per informazioni 011 8127089 – 011 887417
[email protected]www.littlenemo.it

Catalogo Little Nemo. Introduzione di Paola Pallottino
60 pp. illustrate a colori Euro 15.

Per l’occasione è stata realizzata una cartella a tiratura limitata:
di questa edizione, che riproduce le venti tempere originali create da Duilio Cambellotti per “Le Mille e una Notte”, pubblicate nel 1913 dall’Istituto Editoriale Italiano, sono stati impressi 99 esemplari numerati in cifre arabe, più 30 esemplari in cifre romane riservati all’Editore, all’Archivio Cambellotti e al curatore.

Le illustrazioni sono stampate su carta patinata opaca Tatami Ivory da 135 gr. delle Cartiere Fedrigoni;
i cartoncini di supporto sono stampati in oro offset du Savile Row Plain “Blue Dark” da 300 gr. delle Cartiere Fedrigoni,

La realizzazione della cartella e la stampa sono state eseguite dalla Tipolitografia Moglia in Torino, sotto la direzione di Santo Alligo.

Testo di Paola Pallottino introduttivo al catalogo per la mostra

IL LIBRO NEL LIBRO
Tempere di Duilio Cambellotti per le Mille e una Notte


“...Una menzione speciale va data alle illustrazioni. Un libro per ragazzi senza ‘figure’, sarebbe come una carrozza senza ruote. Nella nostra Biblioteca dei ragazzi, le illustrazioni hanno, quindi una parte preponderante; e la loro bellezza, la loro attrattiva non è superata che dalla bellezza e dall’attrattiva dei testi. I più grandi pittori e disegnatori italiani sono stati chiamati a dare il possente contributo della loro arte per rendere questi volumi ‘irresistibili’. E con vivo piacere registriamo i nomi di insigni artisti come Enrico Sacchetti, Duilio Cambellotti, Aleardo Terzi, A. Mazza, Mussino, Gustavino, Salvadori, ecc., i quali non hanno esitato ad aderire per dare una gioia maggiore all’animo dei nostri bambini. Ogni volume è dunque sfarzosamente illustrato con una media di 15-20 tavole fuori testo a colori...” [1]
Con la puntuale citazione dei nomi dei principali illustratori, contro la riassuntiva definizione di “scrittori fra i più celebrati del mondo” per autori del calibro di Andersen, Carroll, Cervantes, Daudet, Defoe, Dickens e Grimm, nel pubblicizzare la propria collana destinata all’infanzia, l’Istituto Editoriale Italiano ne offriva anche un’inedita chiave di lettura.
Nato a Milano nel 1911 dall’intraprendenza del vulcanico scrittore e giornalista Umberto Notari [2], l’Istituto Editoriale Italiano, sotto la direzione letteraria di Ferdinando Martini, si distinguerà per la pubblicazione di una serie di collane subito famose: i ‘Classici italiani’, ‘Gli immortali’, ‘Breviari intellettuali’, ‘PH’. Coordinatore di tutta la linea grafica dell’Istituto: dalla caratteristica scaletta del marchio sormontata dal motto Costruire ai disegni dei risguardi, fregi e copertine goffrate o in cuoio bulinato per ciascuna delle singole collane, sarà Duilio Cambellotti. Al suo eclettico rigore, nel 1914 sarà affidata anche la ‘decorazione e l’ammobiliamento’ di quella sala di lettura dell’Istituto creata per l’Esposizione internazionale del libro di Lipsia [3] che, nella riproposta all’Umanitaria di Milano del 1919, Raffaele Calzini riconoscerà come “l’insieme più originale, più sobrio e più armonico. Le gioverebbe se fosse completata (com’era a Lipsia) dai tappeti e dalle tappezzerie disegnate dallo stesso Cambellotti. La soluzione decorativa con i motivi dei cavalli e dei serpenti dorati, con i larghi leggii, con la piccola Minerva trionfante riunisce una calma severa ed una nobiltà cinquecentesca.” [4].
Dunque, già dal primo decennio del secolo, Cambellotti si pone come “l’unico vero designer italiano; o almeno il primo, il più autentico ed il più completo, perché non conosco nessun altro artista italiano che, come lui, abbia operato in tutti i rami dell’arte: un artista che fa il mobile, l’illustrazione, il manifesto, il libro, per piccoli e grandi, il monumento, la decorazione, la maiolica, l’oggetto, l’arazzo, il mosaico, la medaglia, il pupazzo per il presepe, il giocattolo...” [5]
Recuperando l’utopia morrisiana dell’unità progettuale del libro e con largo anticipo su quella che oggi definiamo ‘grafica coordinata’, affermando: “per decorazione del libro io intendo la collaborazione dell’artista all’allestimento del volume; cominciando dalla scelta della carta e dei caratteri, alla esecuzione dei fregi e dei disegni fino alla determinazione del modo più acconcio per riprodurli” [6], sarà soprattutto alla ‘Biblioteca dei ragazzi’ che Cambellotti riserverà le sue cure maggiori.
Destinata ai fanciulli dai nove ai quindici anni e costituita da 40 libri rilegati all’inglese con fregi in oro e cinabro, suddivisa in due parti nettamente distinte: 20 titoli di amena lettura e 20 di divulgazione, la biblioteca, che non indica mai le date, ma viene commerciata a partire dal dicembre 1913 [7] , risulta “composta da volumetti di cm. 20 x 14, taglio superiore in rosso, sovraccoperta cinerina a due colori con vignette in seppia e titoli in nero, illustrazioni a due o più colori stampate a parte su carta patinata quando non incollate su cartoncino, legatura in tela editoriale goffrata, bianca a gigliucci rossi o verde a gigliucci bianchi, alterna, al nero dei titoli e del testo, il verde oliva delle vignette, acceso dal rosso delle figurine svolazzanti nella composizione del girotondo dei risguardi.” [8]
La complessiva illustrazione di un centinaio di libri e altrettante copertine, la collaborazione a una cinquantina di periodici con testate, vignette e illustrazioni (incluse quelle per Il ferro di D’Annunzio e In capo al mondo di Sapori, a puntate su «La Lettura»), la cura grafica di collane per l’Istituto Editoriale Italiano, Sandron e Mondadori, la creazione di marchietti editoriali per il citato I.E.I. e per G. Ugo Nalato (Gian Dàuli), il vasto corpus xilografico, le cartoline illustrate, gli ex libris e tutta l’attività pubblicitaria, dai piccoli avvisi ai grandi manifesti a colori, testimoniano del predominante, consapevole impegno di Cambellotti nell’ambito dell’immagine riprodotta e della “grafica non circoscritta ad una copia della forma e delle luci; non grafica in se stessa, ma sottoposta ad uno scopo immediato quello cioè di raccogliere una forma attorno ad un pensiero fosse esso elementare, fosse elevato. Questa esercitazione di grafica per così dire intellettuale (evocatrice) mi dette col tempo l’attitudine ad impiegarla per fissare sulla carta cose che non erano dinanzi ai miei occhi ma a fissare cose e immagini che sorgevano da dentro di me.”
Questa costante e sempre rinnovata esaltazione del vigore inventivo sarà la migliore garanzia dell’originalità dello stile: in pieno eclettismo “agli ‘stili storici’ si contrapponeva lo ‘stile moderno’ e anche esso era il distillato di molte cose: i Preraffaelliti, i Giapponesi, gli Impressionisti, Hodler, Munch ecc. Ne risultava: una scelta di colori, un certo andamento delle linee di contorno, certe preferenze tematiche, ma soprattutto un modo nuovo di formulare e proiettare l’immagine. L’idea di ‘stile’ era naturalmente separata da quella di tecnica, tuttavia lo ‘stile’ moderno autorizzava il ricorso alle tecniche più diverse: Cambellotti è stato indubbiamente, a cavallo dei due secoli, il tecnico più esperto, inventivo e geniale dell’arte italiana [...] tutta la sua figurazione tende all’identificazione di invenzione, simbolizzazione, stilizzazione: perciò è stato un grande creatore di icone o di emblemi, talvolta di sigle figurative, il cui contenuto simbolico è sempre lo stesso, la modernità.” [10]
E alla potente invenzione di una personalissima strada al Modernismo, Cambellotti consacra uno dei suoi impegni più alti e compiuti: quell’assoluto capolavoro costituito dall’illustrazione delle venti tempere per le Mille e una notte [11]. Ricordate con emozione da Giulio Carlo Argan per le “ondate di sogni che suscitava nella mia immaginazione, al bisogno di dare spazio e colore alla narrazione che mi affascinava, rivedo, con un senso di gratitudine e di affetto le vivide tavole di Cambellotti: città di cristallo, grandi distese verdi e turchine di mare, uccelli dalle ali enormi e serpenti dalle spire spropositate. Anche Pasolini, vidi più tardi, si sovvenne delle tavole di Cambellotti quando sceneggiò da grande poeta il vecchio testo persiano: e il fatto dimostra quanta parte dell’immaginazione del nostro secolo, almeno qui in Italia, sia dovuta al genio ad un tempo realistico e visionario di Duilio Cambellotti.” [12]
Sostituito da tempo il violento contrasto di lume dello ‘sfumato’ - tecnica d’esordio adottata a inizio secolo sulle pagine di «Novissima», «Fantasio» e nelle illustrazioni dantesche - con una progressiva sintesi lineare e stilizzate campiture di colore; rispetto agli altri due volumi della ‘Biblioteca dei ragazzi’: Nel regno dei nani di A. France e Le storie meravigliose di N. Hawthorne, nei quali il gioco cromatico è frequentemente risolto nella contrapposizione di ampie superfici a due soli colori, differenziandosi da ogni esperimento precedente, le Mille e una notte rispondono a un grande progetto organico nel quale Cambellotti sperimenterà un funzionale approccio stilistico-espressivo, elaborando soluzioni grafiche che non verranno più replicate e che costituiscono un’esperienza irripetibile.
Letti in una versione ridotta, ma completa, della famosa traduzione di Antoine Galland, circolata in Francia a partire dal 1704, i racconti dovettero esercitare una straordinaria suggestione su Cambellotti che, la ripetuta familiarità con la materia etnica e fantastica del mito e della fiaba, vocavano a interprete principe delle Mille e una notte.
Non sappiamo se Cambellotti ne indagò l’iconografia tradizionale, ma se lo fece fu per distaccarsene nettamente.
A partire dalle animatissime scene di P.-C. Mariller incluse nell’edizione 1781-85 del Cabinet des Fées, costruite sui forti contrasti d’ombra di personaggi entrati in scena, fra un turbinare di pantaloni alla turca, lunghi gilet ricamati, babucce, veli e turbanti, a raccontare singoli segmenti letterari delle novelle, fino alle intercambiabili edizioni 1838 - illustrata da Fragonard, Callow, Marckl - e 1840 - illustrata da Wattier, Laville, Demoraine e Marville -, per quasi un secolo si conferma l’opzione alla narrazione episodica che spezzetta il testo in altrettanti frammenti iconografici, per affidarla a una folla di personaggi che muovono in un evanescente décor di maniera, che andrà progressivamente precisandosi, con le fortune delle successive ondate di mode ‘orientaliste’.
Dopo le prove di Arthur Boyd Houghton (1863-65) e di Thomas Dalziel (1877), nelle quali si manifesta una più puntuale ricerca di collocazione storica e di spessore psicologico dei personaggi, diverso sarà il caso di due edizioni che Cambellotti ebbe forse modo di vedere, non foss’altro perchè le principali tavole furono copiosamente riprodotte nelle pubblicazioni periodiche dell’epoca, ovvero The Forty Thieves (1874) e Aladdin, or The Wanderful Lamp (1875) di Walter Crane, artista cui lo ‘affratellava’ l’utopia social-morrisiana delle Arts and Crafts, e Stories from the Arabian Nights (1907) di Edmund Dulac.
Dalle illustrazioni di Crane, obbligato a concentrare la sua narrazione nelle 5/6 tavole che scandivano i volumi dei suoi ‘Toy Books’, Cambellotti deriva soprattutto quella maestrìa di sintesi che gli consentirà di restituire la suggestiva, sterminata materia delle Mille e una notte in sole 20 tavole.
Mentre, a due protagoniste delle illustrazioni di Dulac - sospeso fra le cadenze caricaturali dei personaggi maschili e la chiave squisitamente preraffaellita che connota le principali figure femminili - Cambellotti sembra ispirare la sua Perizade de La storia delle tre sorelle (tav. XX), decorativamente risolta in una sintesi di pura marca secessionista che, sui due colori complementari del bleu e dell’arancione la cui sovrapposizione genera il nero, inventa il quarto colore, ritagliando elegantissimi bianchi. Si vedano le volute floreali, pattern ricorrente nella ceramica di Cambellotti, destinate a materializzare le voci sulla montagna, dietro la prima e il giuoco dei veli fluttuanti verso sinistra, della seconda.
Agli infiniti spunti offerti dalla novella, Cambellotti oppone, dunque, la scelta del passo supremo che tutti li sintetizza, ovvero quello del coraggio della fanciulla, figuretta intrepida e fragile, vibrante contro l’onda d’urto delle voci, che sale sulla montagna ad occhi semichiusi, quasi a simboleggiare la momentanea sordità che si è dovuta procurare per vincere.
Ma, nell’intreccio di forme, colori, simbolismi e rimandi, ogni tavola è un compiuto gioiello narrativo.
L’umanità cenciosa e disperata dell’Oriente musulmano medievale, assurge a protagonista. Dai Geni alle Fate, dai visir ai paria, tutti i rappresentanti delle sue categorie sociali hanno guizzi di dignità e di bellezza: i poveri sono denutriti, ma ‘destinati’; i vecchi sono decrepiti, ma oracolari e le donne, tutte le donne raffigurate, incedono in un turbinio sensuale di gonne che, ancora e sempre, ruota intorno al passo fatale della Gradiva Jensenfreudiana...
Nelle Mille e una notte Cambellotti attua il suo programma progressista e socialista di prodotti di élite accessibili a tutti, attraverso quella perfetta conoscenza tecnica dei metodi di riproduzione, che gli consente di realizzare superbe soluzioni cromatiche, che negli originali impiegano diverse sfumature di tinte ma che, risparmiando i colori, in stampa verranno smagliantemente restituiti da percentuali di mezzitoni o da funzionali sovrapposizioni.
La novità di queste composizioni dove, per tutte le linee di contorno sperimenta l’inedito impiego ‘divisionista’ di colori a contrasto che accendono le immagini come vetrate colpite dal sole (la prima Mostra della Vetrata Artistica risale giusto al 1912), consiste nella sapiente fusione di una sontuosità figurativa, che ha ormai esplorato tutte le soluzioni simboliste e secessioniste, e che recupera, anticipa addirittura in maniera personalissima, gli esiti espressivi futuristi del Fotodinamismo (anticipati la prima volta nel 1907 con la raffigurazione ‘stroboscopica’ del movimento di un piccone e compiutamente replicati in quello del martello nel 1911 [13]), con l’originale soluzione iconografica della frantumazione prospettica in altrettante immagini poste in sequenza simultanea, su piani a scalare di rigorosa bidimensionalità.
Si veda la splendida bicromia che sintetizza la Storia del mercante e del Genio (tav. I) dove, contro il fluire e guizzare dei motivi geometrici dello sfondo (le ‘elettriche’ composizioni di Jan Toorop e Ronald Hast circolavano su «Emporium» già dal lontano 1899), si ergono le eptoplasmatiche figure di vecchi chiusi nei loro bianchissimi mantelli-sudari come se, in un folgorante cortocircuito, i due protagonisti della novella avessero improvvisamente materializzato il terzo, o la decorativa trama dei klimtiani elmi classici - prediletto motivo cambellottiano, rimbalzante dalle vetrate all’illustrazione -, che circondano il corpo del re, nella Storia del re e del medico Douban (tav. III) e, complessivamente, tutte le tavole nelle quali la sventagliata di motivi a scalare su piani prospettici sovrapposti, infonde una vibrazione dinamica al rigoroso à-plat della composizione. Dai ‘quaranta’ otri della Storia di Alì-Babà e dei quaranta ladri (tav. XVIII) al corteo di schiavi negri di spalle che, nella Storia di Aladino e della lucerna maravigliosa (tav. XIV), citando la terracotta dipinta delle Contadine con le conche, sollevano i vassoi carichi di gemme, fino agli inquietanti musi frontali degli ‘ottanta’ cammelli della Storia del cieco Baba-Abdalla (tav. XV), che replicano il motivo della xilografia I cavalli, riutilizzata come modello per l’omonima vetrata del 1921. Ma il muso frontale del cavallo, sarà motivo ricorrente anche nelle tavole VI, VII, XII, XIX.
Tutta la narrazione cambellottiana, è satura di invenzioni, citazioni, schemi e convenzioni iconografiche, come nella Storia del pescatore (tav. II) dove, recuperati i modi dell’interrasile e della xilografia nel trattamento del fiume e delle sue rive, la scelta di raffigurare l’attimo immediatamente precedente all’apparizione del Genio, simboleggiato da maestose volute di fumo, si rivela espressivamente vincente. E se, nella Storia dei tre Calender (tav. IV), l’illustrazione della Fata che solleva le cagne stregate, evoca lo schema iconografico classico della Signora delle belve (Potnia Theron), guarda inequivocabilmente al monumento equestre di Marc’Aurelio, e soprattutto del Colleoni, il bronzeo cavallo che taglia diagonalmente l’acceso cielo arancione nella Storia del terzo Calender (tav. VI), così come appare visibilmente ispirato alla tradizione dell’iconografia dantesca di Caronte, il Genio traghettatore dal lungo remo, nella Storia del principe Zein Alasnam e del re dei Geni (tav. XIII).
Nella Storia del secondo Calender (tav. V), la soluzione di risolvere il duello combattuto a colpi di metamorfosi fra il Genio e la Principessa, attraverso il simultaneo, bestiale viluppo di leone, serpenti, aquile e scorpione, va forse ricercata nella suggestione di una vignetta vincitrice del primo premio al concorso indetto da «The Studio» nel 1908 [14]. Alle fauci orrendamente spalancate del leone, seppure con minor vigore, nel 1949 Cambellotti ispirerà le minacciose fiere del manifesto per Fabiola di Blasetti, così come recupererà le dominanti cromatiche del cavallo nero (dal demoniaco nitrito alla Metzengerstein di E. A. Poe) ritagliato contro la verticalità dei candelieri d’oro dalle lunghe fiamme giallo-arancio della seconda illustrazione destinata alla Storia del terzo Calender (tav. VII), nelle composizioni: La Numerazione e La Veglia per Il palio di Siena del 1932, nonchè lo schema piramidale della torma di elefanti al galoppo della Storia del settimo viaggio di Sindbad il marinaio (tav. X), nella xilografia Pecore II, del 1925.
Sia in questa, che nella Storia del secondo viaggio di Sindbad il marinaio (tav. IX), mentre, richiamando le figurine della Conca dei nuotatori, la minuscola figura di Sindbad metaforizza esemplarmente la condizione di un essere umano travolto da eventi più grandi di lui, il motivo dei giganteschi serpenti verrà ripreso, a simboleggiare il fiume Tevere, nella xilografia Le madri del 1935 [15]. Sempre nella tavola IX, se una possibile fonte iconografica della smisurata ala variopinta dell’uccello-aquila Roc che si allarga contro le rocce a picco della valle dei diamanti, si può individuare nell’ala aperta contro la montagna dell’Angel di Dio del canto IX del Purgatorio e in quella dell’Aquila del canto VI del Paradiso - illustrati all’inizio del secolo -; nella citata tavola della Storia di Alì-Babà dove, secondo un motivo caro a Cambellotti che aveva già antropomorfizzato vento e nubi, i vapori degli otri esalano l’agonia dei ladroni attraverso fumiganti volute che assumono fattezze umane, il debito è comunque da ripartire fra i fumi culminanti in volti femminili della copertina Màj di Jan Konupek [16] e, come è stato già osservato, con lo scheletrico volto de Il grido di Edvard Munch [17].
Araldicamente rampante con le zampe anteriori sollevate oltre il rettangolo verticale della tavola, a differenza di quello stereotipo iconografico che lo vuole sempre volante nel cielo; tra accesi toni di ocra, marrone e rosso, Cambellotti raffigura con una tale audacia e verità di movimento il destriero della Storia del cavallo incantato (tav. XVII) che, formando una composizione a croce di S. Andrea con i corpi del principe di Persia e della principessa di Bengala cullata dalle bianche pieghe dell’abito ritagliate trasversalmente, sembra veramente che stia per spiccare il volo.
Come l’interno della Storia di Zobeide (tav. VIII), la composizione della Storia del principe Amed e della Fata Peri-Banu (tav. XIX), è l’unica che presenti elementi costruttivi. Mentre la metà inferiore è dominata dai corpi dei quattro leoni accovacciati intenti al pasto, le cui anatomie disegnano un vero e proprio pattern decorativo che riprende lo schema compositivo di tanta ceramica e illustrazione, nella metà superiore, uno squillante verde smeraldo ritaglia la figura del principe che si sporge da cavallo a raccogliere l’acqua magica dalla Fontana dei Leoni. Anche qui, lo schema del cavallo dal collo piegato e il muso che si allunga fino a terra, nel riproporre lo schema classico del bassorilievo alessandrino Bellerofonte abbevera il cavallo Pegaseo - sicuramente visto da Cambellotti a Palazzo Spada -, replica un motivo largamente impiegato nella ceramica, dalla Mattonella con cavallo alla Fontana dei boccali, e che troverà la sua più funzionale attuazione nei due cavalli d’angolo della famosa Fonte della Palude.
Ma, al di là di ogni possibile attribuzione filologica di fonti, o di indagine sul successivo ‘riuso’ di motivi, l’autorevole sapienza compositiva e la straordinaria fantasia di Cambellotti, moltiplicano i livelli di lettura di queste tavole che, prezioso ‘libro nel libro’, si offrono come un’inesauribile enciclopedia del fantastico.

Testo introduttivo di Santo Alligo per la cartella a tiratura limitata

Quando, all’inizio del Settecento, Antoine Galland fece conoscere in Occidente – con la sua traduzione in francese – le novelle delle Mille e una Notte, si dischiuse anche in Europa lo scrigno magico del misterioso e favoloso Oriente. Com’è noto, Le Mille e una Notte è una storia-cornice all’interno della quale si sviluppano e avviluppano, intersecandosi a volte tra loro, i racconti. Dovettero passare quasi duecentocinquant’anni prima che anche i lettori italiani potessero apprezzarla nell’edizione integrale, pubblicata da Einaudi nel 1949.
Nel corso dei secoli le storie narrate da Sheherazade hanno ispirato centinaia di illustratori, ma è solo dalla fine dell’Ottocento, con la diffusione della stampa a colori, che questi artisti hanno potuto restituire sulla carta, con il loro pennello e la loro fantasia, il fascino straordinario di questi racconti. Fra tutte si ricordano le illustrazioni di The Forty Thieves (1874) e di Aladdin, or the Wonderful Lamp (1875) di Walter Crane; quelle di Stories from the Arabian Nights (1907) di Edmund Dulac e quelle di The Arabian Nights (1909) di Maxfield Parrish. Tra il 1926 e il 1932 l’editore Henri Piazza di Parigi pubblica Le Livre des Mille Nuits et Une Nuits, monumentale opera in dodici volumi illustrata da centoquarantaquattro tavole di Léon Carré. Un forte influsso esercitarono anche i costumi e le scenografie di Léon Bakst per il balletto Schéhérazade di Rimski-Korsakov (1910).
Alla fine del 1913[7] l’Istituto Editoriale Italiano di Milano pubblicò i quaranta volumetti che formavano la collana “Biblioteca dei Ragazzi”. Duilio Cambellotti (Roma 1876 - 1960) – scultore, ceramista, cartellonista, scenografo, decoratore, incisore – ne curò la veste grafica e ne illustrò tre opere: Nel regno dei nani di Anatole France, Le storie meravigliose di Nathaniel Hawthorne e Le Mille e una Notte, divise in due volumi, corrispondenti ai numeri 13 e 14. Le venti illustrazioni (dieci per tomo) applicate su cartoncino blu, sono stampate con decorazioni oro. Proprio questi due ultimi sono la vetta dell’intera collana e – nonostante sia opera destinata ai ragazzi – una delle gemme dell’illustrazione ‘adulta’ italiana.
Le tempere di Cambellotti per le Mille e una Notte sono creazioni tra le più alte e suggestive fra quelle realizzate nel corso dei secoli per questo grande classico. Paola Pallottino non ha dubbi sul loro spessore artistico: «Alla potente invenzione di una personalissima strada al Modernismo, Cambellotti consacra uno dei suoi impegni più alti e compiuti: quell’assoluto capolavoro costituito dall’illustrazione delle venti tempere per Le Mille e una Notte».
Il piccolo formato fortemente verticalizzato e la ristretta tavolozza cromatica – due/tre colori oltre il bianco carta – non sono un limite per Cambellotti: al contrario sono uno stimolo per trovare soluzioni innovative. Il paesaggio scompare del tutto così come la profondità di campo; gli elementi narrativi si riducono al minimo, a favore di scene semplici di forte impatto emotivo, vissute da un segno netto a forte contrasto. Le fate, i principi e i genï disegnati da Cambellotti non sono molto diversi dalla gente del popolo: il suo è solo in parte un mondo favoloso, per il resto abitato da contadini, vasai e semplici fanciulle, avvolti da lunghe tuniche e turbanti. Ma tanto basta all’artista per ottenere da ogni scena «un compiuto gioiello narrativo» (Pallottino).
Purtroppo, La storia del terzo Calender (tavola VI), prestata dagli eredi insieme alle altre illustrazioni per una campagna fotografica, non è mai stata restituita. Questa mancanza mi ha indotto a utilizzare quella riprodotta a suo tempo dall’originale e pubblicata nel 1978 all’interno del volume Il buttero cavalca Ippogrifo. Duilio Cambellotti (collana “Cento anni di illustratori”, curata da Paola Pallottino).
Delle diciannove restanti, solo quattordici sono giunte fino a noi senza alterazioni cromatiche. Purtroppo (non si dirà mai abbastanza che l’esposizione alla luce diretta del sole di questi manufatti può alterarne i colori), cinque di queste illustrazioni – La storia del mercante e del Genio (tavola I); La storia del re greco e del medico Douban (tavola III); La storia del secondo viaggio di Simbad il marinaio (tavola IX); La storia di Alì-Babà e dei quaranta ladri sterminati da una schiava (tavola XVIII); La storia del principe Amed e della Fata Peri-Banu (tavola XIX) – , che Cambellotti teneva esposte alle pareti del suo studio, sono state in parte compromesse. è dunque stato lo stesso artista il complice involontario del parziale deterioramento della sua opera, alla quale peraltro teneva moltissimo, come dimostra il fatto che le tempere delle Mille e una Notte sono tra i pochi lavori chieste in restituzione dall’artista dopo le riprese fotografiche per la stampa.
Come risolvere dunque tale problema, se non a discapito dell’omogeneità della nostra cartella, che non ha, lo voglio sottolineare chiaramente, valore filologico? Infatti, chi volesse rendersi conto dell’attuale stato di conservazione delle tempere, lo ha potuto verificare alla mostra che Little Nemo ha presentato alla galleria Art&Co.Mix di Torino, dal 22 gennaio al 13 febbraio 2010, presentando per la prima volta a Torino tutte le 19 opere riprodotte nel catalogo pubblicato per l’occasione da Little Nemo Editore.
Restaurare le illustrazioni originali con un ritocco a tempera era fuori discussione; ho dunque usato le tecnologie digitali per ripristinare i verdi e i blu scoloriti. è stato così possibile correggere esclusivamente le parti danneggiate senza alterare gli altri colori. Con il supporto dei due volumetti che contengono gli stampati dell’epoca, ho cercato di ottenere la massima fedeltà a quello che doveva essere il colore originale, riportando così le cinque tavole parzialmente depigmentate all’antico splendore.

Paola Pallottino


1 Catalogo delle edizioni dell’Istituto Editoriale Italiano, in Catalogo dei cataloghi del libro italiano 1922, Bologna, Librerie Italiane Riunite, 1922.
2 Toffanin retrodata la nascita dell’Istituto Editoriale Italiano al 1909, cfr. G. Toffanin - P. Randi, L’Associazione Librai Italiani e i suoi protagonisti, Padova, P. Randi, 1990, p. 57. Su Umberto Notari (Bologna 1878 - Perledo, Varenna 1950), cfr. G. Valori, Notari, ‘Gli uomini del giorno...’ n. 29, Milano, Modernissima, 1920.
3 Cfr. Catalogo ufficiale della Sezione italiana alla Esposizione Internazionale del Libro e d’Arte Grafica - Lipsia 1914, Milano, Bonetti, 1914, p. 43.
4 R. Calzini, L’Esposizione regionale lombarda di arte decorativa, «Emporium» n. 297, vol. L, Bergamo, settembre 1919, pp. 151, 156.
5 G. De Fiore, I mobili di Duilio Cambellotti, «Didattica del disegno» n. 4, a. VI, Brescia, agosto 1975, p. 61.
6 Da una lettera di D. Cambellotti, cit. in R. Bertieri, Duilio Cambellotti artista del libro, «Il Risorgimento Grafico» n. 6, a. XIII, Milano, giugno 1916, p. 130.
7 Cfr. Finalmente! Una biblioteca per i nostri ragazzi, avviso pubblicitario apparso nel dicembre 1913 su «La Lettura» n. 12, e sul «Corriere dei Piccoli» n. 49.
8 P. Pallottino, Rubino ‘versus’ Cambellotti. Vicende iconografiche della Bibliotechina de ‘La Lampada’ e della ‘Biblioteca dei ragazzi’, in cat. Tra fate e folletti. Il liberty nell’editoria per l’infanzia 1898-1915, Torino, 1994, p. 43.
9 Dalle note autobiografiche di D. Cambellotti (1954), cit. in Il buttero cavalca Ippogrifo. Duilio Cambellotti, a cura di P. Pallottino, Introduzione di G. C. Argan, Bologna, Cappelli, 1978, p. 15.
10 G. C. Argan, Introduzione, in Il buttero, cit., pp. 7-8.
11 La collezione, di proprietà degli Eredi Cambellotti, è attualmente composta da 19 pezzi (non essendo mai stata restituita la tempera relativa alla Storia del terzo Calender, corrispondente alla VI tavola del primo volume). Per le misure, oscillanti fra i mm. 210/254 x 110/129, che aumentano di formato nelle tavole XI e X (secondo e settimo viaggio di Sindbad), a causa della maggiore “complessità dell’apparato compositivo”, come dichiara Cambellotti stesso nell’iscrizione, cfr. A. Raffaelli, Le mille e una notte, in Cambellotti. Illustratore da ‘Le mille e una notte’ a ‘Il Palio di Siena’, cat. a cura di M. Quesada, Roma, Leonardo-De Luca, 1992, pp. 69-74.
12 G. C. Argan, op. cit., p. 9.
13 Cfr. la vignetta per Les Blasphèmes, in G. Coronati, Dai poemi di J. Richepin, Roma, W. Modes, 1907, p. 133 e quella per Alla macchina, in F. Salvatori, Le canzoni civili, Roma, G. U. Nalato, 1911.
14 Cfr., Il riuso delle immagini. La manipolazione delle figure a stampa tra persistenze, citazioni e plagi, nel nostro, Dall’Atlante delle immagini. Note di iconologia, Nuoro, Ilisso, 1992, pp. 55, 59.
15 Cfr. M. Quesada, Duilio Cambellotti. Catalogo delle incisioni, Roma, NER, 1983, pp. 149-150.
16 Cfr. B. Broz, Màj, Praha, 1910. Copertina di J. Konupek. Cit. in G. Fanelli, La linea viennese, Firenze, Cantini, 1989, p. 238.
17 A. Raffaelli, op. cit., p. 74.

Biografia di Duilio Cambellotti

1876. Duilio Cambellotti nasce a Roma il 10 maggio. Giovanissimo inizia a frequentare la bottega di suo padre Antonio, intagliatore e decoratore, compiendo qui il suo apprendistato artistico.

1893-1896. Frequenta la scuola del Regio Museo Artistico Industriale di Roma sotto la guida di Alessandro Morani e Raffaello Ojetti.

1897. Ottiene il diploma per l’insegnamento nelle Scuole d’Arte Applicata. Arricchisce la sua formazione con viaggi studio a Napoli, ad Instanbul e ad Atene, dove visita musei archeologici e approfondisce la sua conoscenza dell’arte classica. Ottiene importanti incarichi da ditte italiane e straniere (Brugo e Schulz) per la realizzazione di mobili, lampade e gioielli, a documentazione dei quali rimangono interessanti disegni che ne rivelano le linee Art Nouveau.

1901-1902. Esegue illustrazioni in bianco e nero per la Divina Commedia edita a Firenze da Vittorio Alinari. Negli stessi anni collabora con alcuni periodici d’arte e cultura quali Novissima, Italia Ride, Fantasio, L’Avanti della Domenica, Il Tirso.

1904. Entra a far parte del gruppo I XXV della Campagna Romana, fondato da P. Ferretti, producendo una serie di paesaggi, di cui alcuni conservati nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

1905. Esegue piccoli bronzi, targhette, vasi, lampadari in materiali diversi, presentati in parte alla Mostra Amatori e Cultori. Per la prima volta illustra un intero volume, la raccolta di poesie Come le Nuvole di Filippo Amantea. Stringe amicizia con Alessandro Marcucci, intellettuale di ispirazione Socialista con il quale lavorerà tutta la vita in attività di riscatto dalla miseria fisica e intellettuale delle popolazioni dell’Agro Romano e delle Paludi Pontine. Amico di Giacomo Balla, sarà scintilla del futurismo, dalla cui ideologia però si distaccherà immediatamente per seguire un percorso artistico e sociale personalissimo.

1906. L’incontro con Ugo Falena, direttore del Nuovo Teatro Stabile di Roma, gli apre le porte all’attività teatrale: costumi e scene del Giulio Cesare di Shakespeare porteranno la sua firma.
1907. Ugo Falena lo presenta a Gabriele D’annunzio per la realizzazione delle illustrazioni e delle scenografie del dramma La Nave, edito da Treves e messo in scena nel 1908 al Teatro Argentina di Roma. Realizza il trittico L’Altare e collabora con la rivista Il Divenire Sociale.

1908-1910. Ottiene all’Accademia di Belle Arti di Roma la cattedra di ornato modellato che manterrà per ventidue anni. Con i compagni Vittorio Grassi e Umberto Bottazzi condivide l’interesse per la progettazione di interni e complementi d’arredo; collabora al settimanale La Casa, edito da Edoardo De Fonseca.

1911. Allestisce con Giacomo Balla la Mostra delle Scuole dell’Agro Romano tenutasi a Roma (Valle Giulia) nell’ambito delle manifestazioni per il cinquantenario dell’Unità d’Italia.

1912. Organizza con Bottazzi e Grassi la prima Mostra della Vetrata. Inizia la realizzazione del ciclo di tempere Leggende Romane (1927 - 1950).

1913. Lavora con diverse case editrici, tra cui l’Istituto Editoriale Italiano di Milano, per cui cura la veste grafica della collana La Biblioteca dei Ragazzi e illustra alcuni volumi tra cui Le Mille e una notte.

1914-1915. Decora alcuni villini e dimore private tra cui la Casina delle Civette del principe Giovanni Torlonia. Partecipa all’Esposizione Internazionale del Libro e della Grafica di Lipsia, dove espone alcune tempere del ciclo Leggende Romane. Disegnando le scene per l’Agamennone di Eschilo, esordisce al Teatro Greco di Siracusa. Realizza scene, costumi e locandine per le maggiori opere di Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane.

1920-1921. Collabora con gli editori Bemporad e Mondadori, illustrando testi per ragazzi tra cui Le Prime Piume di Emanuele Orano.

1924. Esegue numerose tavole per il testo di Ercole Metalli Usi e costumi della campagna romana.

1925. Partecipa con mobili, pannelli decorativi, ceramiche e sculture alle Esposizioni Internazionali di Arti decorative di Monza. Esegue le vetrate di soggetto francescano, per il monastero di Fonte Colombo.

1926. Illustra I Fioretti di San Francesco.

1930. è nominato Accademico di San Luca.
1931. Ottiene numerosi incarichi pubblici di rilievo: disegna arredi e decorazioni nel nuovo Palazzo dell’Ente Autonomo dell’Acquedotto Pugliese di Bari.

1932. A Roma realizza cicli decorativi presso l’Istituto Eastman. Esegue illustrazioni a colori del volume Il palio di Siena di Piero Misciattelli.

1933. A Ragusa disegna le decorazioni per il Palazzo della Prefettura.

1934-1937. A Latina esegue cicli decorativi per il Palazzo del Governo.

1947. Il lavoro come scenografo lo impegna ancora al Teatro Romano di Ostia Antica con l’allestimento de Gli Uccelli di Aristofane e a Siracusa con l’Orestea di Eschilo.

1948-1949. Fornisce spunti per le scene del film di Augusto Genina Il cielo sulla palude. Degli stessi anni sono le tavole del taccuini ispirate alla lettura degli scritti di Gregorovius. Da questi Cambellotti trae spunto anche per realizzare acquerelli monocromi e xilografie sulla storia e la vita dei pontefici.

1960. Muore il 31 gennaio ad ottantatre anni a Roma.

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