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Ettore Ferrari. Un artista tra Mazzini e Garibaldi

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view post Posted on 31/1/2007, 12:49
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ETTORE FERRARI
Un artista tra Mazzini e Garibaldi



A cavallo tra il bicentenario mazziniano (celebrato nel 2005) e quello garibaldino (in corso nel 2007), il Museo Centrale del Risorgimento di Roma, martedì 6 febbraio 2007, inaugura la mostra: “Ettore Ferrari. Un artista tra Mazzini e Garibaldi”. Curata da Ettore Passalalpi Ferrari e Marco Pizzo vicedirettore del Museo Centrale del Risorgimento e allestita nelle sale dell’Ala Brasini del Museo del Risorgimento di Roma, l’esposizione, aperta fino al 5 marzo 2007, presenta oltre 100 opere che ripercorrono l’intensa attività artistica dello scultore romano Ettore Ferrari (1845-1929). Figlio d‘arte, di fede mazziniana e attivo politico repubblicano, Ettore Ferrari è autore di quella statuaria monumentale pubblica, sparsa un po’ per tutta Italia, che doveva celebrare e ricordare i più grandi protagonisti politici e culturali del Risorgimento italiano. I monumenti cui è maggiormente legata la fama del Ferrari sono entrambi a Roma: il Giordano Bruno del 1887 eretto in Campo de’ Fiori e il Giuseppe Mazzini del 1902-1911 sull’Aventino.

La mostra, attraverso disegni, studi, progetti e bozzetti (realizzati a matita, carboncino, pastello, acquarello, litografia, gesso) preparatori dei grandi monumenti celebrativi, presenta il carattere più intimo dell’artista e delle sue opere scultoree, consentendone una lettura più profonda. Interessante è la presenza di circa 40 fotografie originali, realizzate con varie tecniche, volute dallo scultore come strumento documentario delle varie fasi di lavoro (dalla riproduzione del progetto alle riprese dei lavori, fino agli scatti al monumento realizzato).

Tra le opere esposte, oltre a progetti e bozzetti per monumenti a Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, Vittorio Emanuele II, Giordano Bruno, Quintino Sella, Aurelio Saffi, Jacopo Ortis e Carlo Cattaneo realizzati in Italia, sono presenti anche gli studi per monumenti richiesti da committenze estere come l’Abramo Lincoln a New York; il monumento dell’Indipendenza di Toluka, in Messico; il monumento sepolcrale Racoritza in Romania e quello a Julio Herrera y Obes a Montevideo. Le opere provengono da un consistente fondo custodito dal Museo Centrale del Risorgimento di Roma e da archivi privati.

UN ARCHIVIO RICREATO
BREVI NOTE A MARGINE DELL’ARCHIVIO ETTORE FERRARI DI ROMA


di Ettore Pasalalpi Ferrari

La sorte, il destino o, non volendo essere fatalisti, semplicemente il caso, talvolta decidono delle vicende delle grandi famiglie o di quegli uomini che hanno avuto il merito di elevarsi in uno o più campi specifici. Questa frase si adatta in maniera estremamente precisa ad Ettore Ferrari. «Una non tanto misteriosa ma sicuramente diabolica combinazione di fattori – i tempi, [gli eredi], la più o meno vigile attenzione degli studiosi – sembra talvolta presiedere alla “fortuna” di personaggi storici, che rischiano di essere distrattamente collocati ai margini di vicende, di cui sono magari stati protagonisti determinanti o comunque influenti. Questo è senza dubbio il caso di Ettore Ferrari, scultore celebratissimo dell’ultimo ventennio dell’Ottocento e dei primi del Novecento, ma anche uomo politico di sicuro rilievo nelle vicende del movimento democratico e repubblicano di fine secolo, citato sempre brevemente e di riflesso in opere e saggi d’insieme su quel periodo storico, mai finora oggetto di uno studio specifico, che pure meriterebbe. Certamente hanno inciso sulla sua scarsa “fortuna” quei fattori combinati di cui si diceva. Ad Ettore Ferrari capitò innanzitutto di morire in un momento storico infelice: nel mezzo del fascismo trionfante. Tempi davvero poco favorevoli per uno come lui, vecchio massone di fieri sentimenti anticlericali, democratico formatosi agli ideali risorgimentali. Non molti dovettero ricordarsi di quel vecchio ultra ottantenne, protagonista per un trentennio delle vicende politiche romane e nazionali; ancora meno quelli che ritennero opportuno commemorare un “superato” dai ricordi ingombranti e scomodi. L’Illustrazione Italiana (del I settembre 1929, p. 358), che in passato ne aveva puntualmente seguito le tappe artistiche, si affrettò a liquidare lo scultore “statuario ufficiale della democrazia: rappresentante tipico e autorevole di quella cultura ufficiale, infarcita di retorica democratica e anticlericale, che sorse in molte piazze d’Italia tra il 1870 e il 1900”; lasciando capire che il successo gli era arriso per il suo ruolo di dirigente politico e massonico (…). L’estensore del necrologio in fondo – e non sappiamo quanto consapevolmente – coglieva nel segno, completando le valutazioni formali con un realistico richiamo ai tempi “mutati e avversi”: prima ancora del dichiarato scarso valore artistico, sarebbe stato il nuovo clima storico a decretare l’oblio dello scultore e dell’uomo». A distanza di tempo, comunque, l’amara disamina – che pure, nonostante sia oramai trascorso quasi un quarto di secolo, continua a mantenere una dolente valenza –, è forse da stemperare: i decenni non sono trascorsi invano e ad Ettore Ferrari sono state riservate diverse mostre artistiche pubbliche e private, almeno un paio di convegni ai quali hanno partecipato storici e studiosi di levatura internazionale, e, non ultimi, vari saggi che sono riusciti a sviscerare, in molti casi in maniera esaustiva, esatta e centrata, le varie angolazioni della sua complessa, multiforme ed interessante personalità. Ettore Ferrari, infatti, è riuscito a distinguersi oltre che per la sua specifica attività di artista (scultore e pittore), anche per le sue qualità di integerrimo esponente politico (deputato al Parlamento dal 1882 al 1892 per tre legislature; componente, per il biennio 1899-1900, del Comitato Centrale del Partito repubblicano italiano), di amministratore pubblico (consigliere comunale di Roma in maniera pressoché continua dal 1877 all’inizio del secolo successivo; più volte assessore effettivo o supplente; e, sempre nella capitale, commissario o alto dirigente di varie istituzioni ed enti pubblici o privati), di qualificato e preparato docente e, non ultimo, di massone (entrato il 10 giugno del 1881 nell’Ordine, è arrivato a ricoprire dal 1904 al 1917 la carica di Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani e di Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato dal 1918 fino alla morte. A questo non felice risultato hanno contribuito numerose cause e concause – la sua fede politica avversa alla monarchia (come testimoniato dalla costante e voluta assenza alle sedute di inaugurazione della Camera, per non pronunciare il giuramento di prammatica alla presenza del sovrano e dal suo fermo rifiuto di accettare la carica di senatore del Regno), il suo particolare modo di vedere e sentire l’arte, la fiera opposizione che ha mantenuto verso il regime (che lo ha portato, alla bella età di 84 anni, ad essere condannato al confino), la sua qualifica, mai abiurata, di massone – tutte ugualmente gravi, così come la lenta dispersione del suo archivio oltre che la sua collezione artistica e il materiale documentario. Un patrimonio che originariamente copriva un arco di tempo piuttosto lungo e capace di fornire agli studiosi – od anche ai semplici curiosi – delle spiegazioni e delle risposte a molti degli avvenimenti che si sono succeduti sulla scena nazionale ed estera nel trentennio conclusivo del XIX secolo e nelle decadi iniziali di quello immediatamente successivo. È in questo clima di dispersione che si è iniziato a formare il piccolo Archivio incentrato sulla figura e sull’opera di Ettore Ferrari al quale qui si accenna. Per comprendere meglio il problema, è forse utile inserire qualche parola sulla realtà familiare di Ettore Ferrari e sul perché poi, dopo la scomparsa del figlio primogenito del patriottico artista, le vicende hanno preso una piega amara ed imprevista. Ettore Ferrari nasce a Roma il 25 marzo 1845 (e nella medesima città esala l’ultimo respiro il 19 agosto 1929) da Filippo e da Maria Luisa Pasini Guidi. Il padre, scultore, pittore ed incisore di buona qualità e di una certa fama, contribuisce non poco alla elaborazione culturale e politica del figlio. In particolare, fin dalla più tenera età, lo abitua a leggere i classici latini esaltanti le gesta della Roma repubblicana e le opere di Francesco Domenico Guerrazzi e Giuseppe Mazzini. Ovviamente, è anche grazie a tali frequentazioni che si forma lo spirito libero, laico ed antimonarchico del giovane Ettore. La madre, «discendente da una nobile famiglia fiorentina», passata alla storia per le note e radicate simpatie risorgimentali, lo ricolma di amore e coadiuva il marito nella sua opera di educazione e di apostolato politico. Al momento della nascita Ettore Ferrari ha già una sorella: Clelia, ed altre due, Emilia e Virginia, lo raggiungono in seguito. Il rapporto tra i quattro fratelli nel corso dei tempi si mantiene alquanto stretto: le tre ragazze si dimostreranno sempre assai legate all’unico maschio, anche se nel futuro non andranno ad influire in maniera sostanziale nella sua esistenza. All’inizio degli anni Ottanta, Ettore Ferrari convola a nozze con Maria Carolina Frey, splendida figlia del pittore di origine svizzera, ma perfettamente romanizzato, Johann Jakob. Da questo riuscito matrimonio nascono due figli: Gian Giacomo e Giordano Bruno. Il secondo, un ottimo pittore insignito della medaglia d’oro al valor militare, non prende moglie e, comunque, non lascia prole, il primo si coniuga dapprima con Maria Iole Trasatti, e da questa unione nasce Maria Carolina; poi, rimasto vedovo, si sposa con un’altra donna, che lo rende padre altre tre volte. Tornando all’Archivio in possesso dello scrivente incentrato su Ettore Ferrari, alla sua cronistoria e al modo in cui è stato faticosamente raccolto, c’è da dire che il primo nucleo – perché non si deve dimenticare che, seppure con colpevole ritardo, si è dovuto iniziare praticamente da zero – estremamente piccolo, ha riguardato solo ed esclusivamente delle opere artistiche. Questo non per un motivo specifico, ma semplicemente per il fatto che dopo la scomparsa di Gian Giacomo Ferrari, già all’inizio degli anni Settanta, e più compiutamente nei decenni successivi, per motivi legati tanto a fabbisogni culturali, quanto ad interessi commerciali, sul mercato antiquario si sono trovate, opere frutto dell’artista. Opere distribuite, ma non maniera organica, fra disegni, stampe, incisioni, acquarelli, tempere, oli, schizzi grafici per lavori scultorei e bozzetti tridimensionali per fatiche plastiche in creta, terracotta, terracruda, scagliola, gesso, bronzo. La raccolta ha cominciato a prendere forma con una piccola serie di acquarelli, che però hanno avuto il merito, del tutto casuale, di andare a coprire un po’ tutte le correnti seguite da Ettore Ferrari nel campo della pittura: a partire dallo stile tardoneoclassico, purista e romantico adottato negli anni della prima giovinezza, fino alla vena del tutto particolare ed autonoma che lo ha ispirato ed accompagnato nel corso della decade finale della sua esistenza. A far da corollario a queste opere iconografiche di esordio e di chiusura, ve ne sono da elencare altre da inserire nella corrente impressionista, divisionista, verista, e via dicendo. Con un posto di preminenza per quelle, e non sono poche, eseguite all’aperto e dal vivo, sul posto, nel corso delle uscite lavorative (oltre che di svagante e sano divertimento) con gli altri componenti del sodalizio de I XXV della Campagna Romana. È per altro da segnalare che alcuni degli acquarelli accennati, sono stati esposti in una mostra curata da una galleria privata della capitale e, praticamente subito dopo, in due rassegne pubbliche organizzate a distanza ravvicinata, allestite subito dopo la metà degli anni Ottanta in un paio di altre sedi. Nel frattempo, nello spazio di tempo intercorrente tra la prima e la seconda esposizione sopra accennate, un caso fortuito è andato a favorire l’ulteriore ampliamento della raccolta iniziale. Vale a dire la conoscenza diretta di Adriana e Vera Giuntini, due discendenti di Emilia Ferrari, le quali, in un trasporto affettuoso, hanno deciso di incrementare il costituendo nucleo archivistico con una donazione. Che, in verità, non è stata affatto modesta e si è dipanata fra svariate letterine decorate con i colori ad acqua eseguite dall’artista in epoca infantile ed adolescenziale, diversi disegni a soggetto vario, inclusi alcuni riguardanti dei dettagli architettonici e/o scultorei, una discreta quantità di dipinti stilati in epoca giovanile, ed altro. Un certo numero di questi lavori (dipinti e bozzetti grafici per opere plastiche) hanno avuto quasi subito la possibilità di essere mostrati al pubblico perché esposti nella rassegna allestita nel 1988 a Latina..Nell’ambito di questa stessa mostra i curatori hanno anche insistito perché il responsabile della collezione di cui si sta trattando mettesse a disposizione anche alcuni reperti documentari. Che hanno costituito una sezione a parte – per altro molto apprezzata – in quattro bacheche collocate in posizione di privilegio. Tutti i lavori artistici che hanno figurato nel capoluogo pontino, assieme a qualche altro, sono stati poi i basilari protagonisti della rassegna Ettore Ferrari – Arte e ideali presentata nel Palazzo dell’Auditorium Comunale di Orbetello, nell’ambito dei festeggiamenti indetti per la proclamazione della Repubblica Romana, nel febbraio del 1990. A distanza di breve tempo, ma pressoché contemporaneamente alla donazione delle parenti ritrovate, la raccolta si è ulteriormente arricchita per merito di Lea Ferranti, figlia Arcadio, un allievo di Ettore Ferrari, che, letta sui giornali la recensione della mostra tenuta nella capitale presso l’Accademia Nazionale di San Luca, ha dapprima preso contatto e quindi ha spedito alcune fotografie d’epoca di monumenti scolpiti dal plastico romano ed un carteggio inedito, non estremamente copioso ma completo e coprente un arco di tempo lungo quasi un decennio, intercorso nella seconda e terza decade del XIX secolo fra l’affermato artista ed il giovane discepolo muovente i primi passi nell’orbita delle Muse. In seguito, con il trascorrere degli anni, il sentimento di affetto familiare si è andato a trasformare in un desiderio di saperne di più, e la collezione è andata a prendere direzioni differenti, capaci di esulare dal puro e semplice fatto artistico per andare ad abbracciare in maniera più esaustiva i molti aspetti della proteiforme personalità di Ettore Ferrari. Ovviamente, per arrivare a questo, è stato necessario intraprendere delle ricerche serie ed approfondite sull’artista. E fin da subito, vista la scarsa quantità di testi all’epoca disponibili sull’argomento, la questione si è rivelata di difficile soluzione. Poi, mano a mano, grazie ai consigli di alcuni studiosi capaci e disinteressati (quali l’avvocato Renato Mammucari, autore di numerosi saggi sulla pittura dell’Ottocento, con specifico riferimento ai movimenti sorti o sviluppatisi a Roma e nel Lazio), la luce ha cominciato a far diradare le tenebre e la strada, pur rimanendo irta di difficoltà, ha cominciato a farsi assai più comoda ed agevole. Felice frutto di questo faticoso ma gratificante periodo, sono state alcune acquisizioni che è forse riduttivo definire minori (vale a dire dei piccoli disegni, per lo più appunti grafici a matita o a penna tratti da vari album da viaggio) e un interesse, del tutto nuovo, riguardo alle valenze scultoree di Ettore Ferrari che si è indirizzato verso i bozzetti grafici, piuttosto che a favore di quelli plastici. Una circostanza casuale ha consentito il rinvenimento di una certa quantità di materiale documentario di diversificata natura. Fra questo, oltre ad un interessante carteggio riguardante l’Esposizione Universale di Parigi del 1900 (con opuscoli e pubblicazioni a stampa sul tema, lettere di artisti e funzionari ministeriali, elenchi scritti a mano dallo stesso Ettore Ferrari con i nomi degli espositori invitati ed i titoli delle opere da questi presentate, note autografe con le previsioni e le indicazioni di collocazione dei lavori), fa spicco una piccola selezione di reperti (cartoline, stampati, tessere personali, inviti) riguardante il monumento a Giuseppe Mazzini di Roma e la raccolta quasi completa dei ritagli dei necrologi usciti su quotidiani e periodici (italiani ed esteri) in occasione della scomparsa dell’artista repubblicano. In un indomani piuttosto prossimo a questa acquisizione, una piccola parte del materiale ritrovato è stato offerto alla visione del pubblico e della critica in una sezione speciale allestita nell’ambito della mostra Segno e pittura nell’arte di Ettore Ferrari, allestita nel 1992 nell’Antiquarium Comunale di Sezze. Quasi subito dopo, vista la buona volontà e la passione dimostrata verso i suoi avi (non solo Filippo, Ettore e Giordano Bruno Ferrari, ma anche Johann Jakob Frey) dal curatore della raccolta in formazione, le sorelle Giuntini hanno deciso di donare altro materiale iconografico e documentario in loro possesso. Il felice evento si è realizzato in concomitanza della doviziosa rassegna Ettore Ferrari e la Romania, tenutasi presso l’Accademia di Romania di Roma nel maggio del 1994. A circa un anno di distanza, nel desiderio di esprimere la loro soddisfazione per il convegno Ettore Ferrari artista svoltosi nell’Aula Magna dell’Accademia di Romania nell’ottobre del 1995, Adriana e Vera Giuntini hanno stabilito di concorrere ancora all’arricchimento della collezione. E lo hanno fatto con la solita generosità, visto che hanno fatto donato diversi disegni a matita di sicura qualità, numerosi acquarelli ancora oggi inediti e una certa quantità di materiale documentario, riferito in specie ad Ettore Ferrari. A questo punto il caso – ma forse anche la buona sorte, accompagnata dalla capacità di poter riconoscere, grazie ai duri ed approfonditi studi fatti, le opere eseguite da Ettore Ferrari – ci ha messo lo zampino, ed ha consentito due notevoli ritrovamenti fortuiti (il secondo quasi immediatamente successivo al primo): dapprima di una serie di bozzetti grafici per monumenti, quindi di fotografie d’epoca. I disegni riguardanti le sculture – per i quali il rimpianto maggiore è quello di essersene fatto sfuggire qualcuno, riguardante non solo Ettore Ferrari, ma anche il padre Filippo ed il figlio Giordano Bruno – il curatore della raccolta li ha trovati sulla bancarella di uno dei molti mercatini antiquari che saltuariamente, specie nei giorni di festa, pullulano e prosperano sulle varie piazze di molte città italiane. E già nel maggio-giugno del 1996, presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, è stato possibile visionare alcuni di questi reperti nell’ambito della rassegna Ettore Ferrari – L’ideale repubblicano come religione laica, organizzata per celebrare il primo mezzo secolo della proclamazione della Repubblica italiana; mentre nel mese di ottobre del 1997, per festeggiare il CXC anniversario della nascita dell’Eroe dei due Mondi, degli altri, specifici bozzetti grafici sono stati offerti alla visione degli appassionati inglobati nella mostra Giuseppe Garibaldi nell’opera artistica di Ettore Ferrari, dapprima nel Museo Garibaldino di Porta San Pancrazio di Roma, poi, nell’aprile del 1998, nel Palazzo Comunale di Bassiano, infine, nell’ottobre dello stesso anno, nelle Scuole Comunali di Norma. Questi stessi bozzetti grafici per sculture di specifico interesse garibaldino, nel mese di giugno del 2005, sono stati proposti pure in una esposizione ospitata nel Museo di Villa Coppetti di Castelbellino, in provincia di Ancona. Le fotografie d’epoca si connotano per essere assai dissimili per formati, supporti sui quali sono state riportate, tecniche di scatto e di stampa, e coprono uno spazio temporale molto vasto. Difatti partono dalla veemente figura dello Stefano Porcari (del 1869) per arrivare al busto per il ricordo sepolcrale a Pietro Cossa nel Verano di Roma (fuso nel 1929). A cavallo di queste due opere di apertura e di chiusura si dipanano le immagini di un esiguo numero di lavori plastici non realizzati e quelle di molte sculture – monumenti, statue, busti, erme, targhe, lapidi, medaglioni, eccetera – dedicate ai grandi interpreti del nostro Risorgimento (quali, fra gli altri, Giuseppe Avezzana, Alfredo Baccarini, Giovanni Bovio, Michelangelo Caetani, Carlo Cattaneo, Felice Cavallotti, Camillo Cavour, Giovanni Falleroni, Antonio Fratti, Giovanni Froscianti, Giuseppe Garibaldi, Mauro Macchi, Terenzio Mamiani della Rovere, Alberto Mario, Pietro Maroncelli, Giuseppe Mazzini, Antonio Meucci, Francesco Montanari, Mattia Montecchi, Antonio Panizzi, Luigi Pianciani, Gabriele Rosa, Achille Sacchi, Aurelio Saffi, Quintino Sella, Luigi Solidati Tiburzi, Vittorio Emanuele II); ad alcuni italiani, uomini e donne, che hanno lasciato nel corso dei secoli un’impronta degna di nota in differenti, diversificati campi (vale a dire, citando alla rinfusa e ricordandone i più significativi, Dante Alighieri, Gian Lorenzo Bernini, Giordano Bruno, Giuseppe De Nittis, Ugo Foscolo, Lesbia, Aonio Paleario, Stefano Porcari, Publio Ovidio Nasone, Ercole Rosa, Stamura, Enrico Stelluti Scala, Marco Ulpio Traiano, Giuseppe Verdi); ed anche a qualche illustre personaggio estero (e in questo gruppo sono da annotare, e non sono i soli, Sophie e Vladimiro Adamoff, James Anderson, Decebalo, Francisco Gomez, Julio Herrera, Thomas Hodgkin, Victor Hugo, Abramo Lincoln, Antonio Maceo, Alexander Mavroyeni, Jacopo Moleschott, Heliade Radulescu, Richard Wagner). Non è stato facile al depositario della raccolta – che poco alla volta, faticosamente, grazie alle continue acquisizioni e donazioni, si è andata a trasformare in una collezione e poi in un Archivio – riuscire ad identificare con la necessaria esattezza le varie opere grafiche o plastiche riprodotte dai disegni o dalle fotografie, però, in virtù dei sempre maggiormente approfonditi studi sulla famiglia effettuati in biblioteche specializzate e raccolte pubbliche, il lavoro è stato concluso in maniera piuttosto precisa e puntuale. Alcune – ma purtroppo molto poche – delle riproduzioni fotografiche appena accennate sono state esposte nelle riuscite e visitate rassegne Ettore Ferrari e la Massoneria, montata nell’ex Frantoio di Palazzo Massimo (e poi nel locale Palazzo Comunale) di Roccasecca dei Volsci dal novembre 2002 al novembre 2003; Avvenimenti e personaggi dell’Unità d’Italia, allestita dal dicembre 2003 al dicembre 2004 nell’ex Chiesa di Santa Maria di Bassiano; Il Monumento Nazionale a Giuseppe Mazzini in Roma di Ettore Ferrari, proposta all’inizio del maggio 2005 nel Museo Garibaldino di Porta San Pancrazio della capitale e verso la fine dello stesso mese nell’Aula Magna dell’Istituto Commerciale Vittorio Veneto di Latina; Il Monumento a Giordano Bruno in Campo de’ Fiori di Ettore Ferrari, organizzata nel Museo di Villa Coppetti a Castelbellino nel novembre 2005 e nel Museo Garibaldino di Porta San Pancrazio, a Roma, nel febbraio dell’anno successivo. Ora, per l’ennesima volta, un segmento dell’Archivio esce dal luogo ove è amorevolmente e gelosamente custodito, per trovare una naturale ospitalità – grazie al sollecito interessamento dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano e del Museo Centrale del Risorgimento di Roma –, nelle sale del Vittoriano per chiudere in maniera più o meno formale il bicentenario mazziniano (caduto nel 2005) ed aprire idealmente quello garibaldino (iniziante nel 2007). Un compito così delicato e prestigioso, d’altra parte, a chi sarebbe potuto toccare meglio che ad Ettore Ferrari, che nel corso della sua esistenza ha prestato la propria capacità di illuminato politico a favore degli ideali tanto di Mazzini quanto di Garibaldi e ha messo a disposizione il suo genuino talento per tramandarli – assieme a molti dei loro simpatizzanti e seguaci – in opere plastiche e grafiche degne della massima considerazione?

IL FONDO ETTORE FERARI NEL MUSEO CENTRALE DEL RISORGIMENTO

di Mario Marino

Ettore Ferrari (Roma, il 25 marzo 1845–Roma, 19 agosto 1929) nacque da Filippo (Filippo Ferrari, nato a Roma il 25 febbraio 1814, carbonaro e repubblicano, partecipò alla difesa della Repubblica Romana nel 1849. Intraprese la carriera artistica come scultore e incisore, sotto la guida di uno zio paterno. Isolato a causa delle sue idee politiche, solo verso la fine degli anni Cinquanta ottenne delle commesse al cimitero del Verano. Tra le sue opere le statue di Apollo e Fidia collocate sulla terrazza del palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1884. Morì a Roma il 30 gennaio 1897) e da Maria Luisa Pasini. Fu il padre, portatore di idee repubblicane, a provvedere alla sua formazione intellettuale. Attivo nel Comitato d’azione mazziniano di Roma, prese parte al fallito tentativo insurrezionale del 22 ottobre 1867. Seguì corsi di Lettere e Giurisprudenza presso l’Università di Roma e fu membro dell’accademia dell’Arcadia. Sulle orme del padre intraprese la carriera artistica, che lo vide attivo come pittore e scultore.

Ferrari artista.
Come scultore, il Ferrari esordì al concorso Albacini dell’accademia di S. Luca nel 1868. Negli anni Settanta sperimentò una sorta di romanticismo storico personalizzato attraverso l’uso del lessico barocco, operazione apparentemente ritardataria, ma in realtà aggiornata sia all’ambiente romano, che solo dal 1870 si aprì al romanticismo storico, sia ai tempi stessi della scultura. Varie opere del periodo di frequenza dell’accademia si rifanno a soggetti letterari. In questo periodo il Ferrari elabora il tema del ribelle, sul quale tornò costantemente nel corso della carriera. Nello Stefano Porcari maturò, attraverso una serie di disegni e bozzetti, i modelli formali che ne caratterizzeranno la statuaria monumentale. Gli inizi della professione furono difficili, forse anche a causa della sua fede repubblicana. La prima occasione di cimentarsi con la dimensione monumentale gli fu offerta nel 1875 dalla Romania, che gli commissionò un monumento dedicato al poeta Heliade Radulesc da erigersi a Bucarest e un Ovidio da collocare a Costanza (opere ultimate rispettivamente nel 1877 e 1879). Nel 1880 il Ferrari vinse il concorso per il monumento equestre a Vittorio Emanuele II a Venezia, inaugurato nel 1887. A partire da questo momento egli realizzò in varie città monumenti pubblici dedicati ai protagonisti del Risorgimento italiano, raggiungendo nelle opere più riuscite il “giusto equilibrio tra la rappresentazione storica del personaggio o dei fatti” e quella “allegorico-simbolica”. I monumenti cui è maggiormente legata la fama del Ferrari sono entrambi a Roma: il Giordano Bruno del 1887 eretto in Campo de’ Fiori e il Giuseppe Mazzini (1902-1911, ma pensato già a partire dal 1890) sull’Aventino a Roma. All’apice delle notorietà artistica, il Ferrari rivestì importanti incarichi pubblici. Fece parte della giunta superiore e del consiglio per le belle arti dal 1882 al 1892. Dal 1896 fu titolare della cattedra di Scultura preso il regio istituto di belle arti in Roma, del quale fu poi presidente a partire dal 1906.

Ferrari politico.
Dopo la caduta del potere temporale, ebbe inizio per il Ferrari una lunga attività di uomo politico, come rappresentante della Sinistra Democratica. Nel 1877 fu eletto per la prima volta consigliere comunale di Roma, carica che ricoprì, con intervalli, fino al 1907, occupandosi prevalentemente di problemi legati ai suoi interessi artistici, dalla costruzione del palazzo delle Esposizioni alla proposta di monumenti celebrativi. Nel 1880 sposò Maria Carolina Frey von Freienstein, figlia del pittore svizzero Johan Jacob Frey, da cui ebbe due figli, Gian Giacomo e Giordano Bruno. Nel 1879 prese parte ai lavori preparatori che portarono alla fondazione della lega della democrazia. Il 29 ottobre 1882 venne eletto deputato nel collegio di Spoleto, venendo confermato nella XVI legislatura (elezioni del 23 maggio 1886) e nella XVII (elezioni del 23 novembre 1890). La sua attività di parlamentare, poco rilevante durante la XV legislatura, divenne più incisiva nei mandati successivi. Legato alla democrazia francese, fu avversario del Crispi. Combattè la politica coloniale del governo, opponendosi alla nascita della colonia Eritrea. Osteggiò inoltre la triplice alleanza. Il 1 maggio 1891 partecipò al comizio operaio a S. Croce in Gerusalemme, che sfociò in gravi incidenti, sui quali il Ferrari intervenne in parlamento accusando le forze di polizia di provocazione e precisando che le associazioni operaie e democratiche di Roma avevano organizzato il comizio per celebrare la festa del lavoro ed esprimere la propria solidarietà con i lavoratori di tutto il mondo. Nella sua cinquantennale presenza sulla scena politica romana, il Ferrari operò soprattutto al fine di favorire il dialogo tra le forze progressiste. Legato politicamente a Felice Cavallotti, fu tra gli organizzatori del congresso di Roma dell’11-13 maggio 1890, che si concluse con il cosiddetto “Patto di Roma”, sottoscritto da radicali, da alcuni socialisti, da irredentisti e repubblicani. Fu un momento importante nella storia della democrazia radicale, attuandosi la sintesi dei programmi delle singole componenti. Accanto alla militanza ufficiale tra i repubblicani, lo scultore fece parte della carboneria romana e dell’Alleanza repubblicana universale (ARU), il cui scopo era quello di mantenere vivo l’ideale repubblicano rivoluzionario. Il 31 marzo 1896 fu chiamato a far parte del comitato eletto dalle associazioni repubblicane romane allo scopo di riorganizzare il partito repubblicano nel Lazio. Il 20 settembre 1896 fu convocato a Roma un congresso che riassunse le conclusioni del comitato stabilendo le linee-guida dell’azione del partito: associazionismo di stampo collettivista, abbandono dell’astensionismo elettorale, dialogo con i socialisti. Su questa base programmatica si costituì, il 29 novembre dell’anno in questione, la consociazione repubblicana del Lazio. Il congresso si svolse nel grande studio del Ferrari presso Porta Salaria, che fu sede di altre iniziative. Il 18 febbraio 1894 ospitò un convegno democratico, nel corso del quale fu condannata la repressione dei fasci siciliani e fu progettata l’unione delle Sinistre in funzione anti-crispina. Nel 1897 vi fu organizzata la spedizione garibaldina in Grecia. Vi si svolgevano anche le riunioni segrete dell’ARU. Il 7 giugno 1898, a seguito dei provvedimenti repressivi decisi dal governo Di Rudinì, vennero sciolti la consociazione repubblicana del Lazio e i circoli ad essa aderenti. Già nell’autunno di quell’anno si intraprese, in casa del Ferrari, la riorganizzazione delle forze repubblicane. Dal 1899 al 1900 l’artista romano fu membro del comitato centrale del partito repubblicano, di cui conservò sempre la tessera. Nel 1901 presiedette il congresso annuale del partito. Da quel momento cominciò a defilarsi dalla scena politica, dedicandosi alla massoneria, alla quale era stato iniziato nell’estate del 1881 nella loggia “Rienzi” di Roma su proposta di Ulisse Bacci. Fu gran segretario del gran maestro Adriano Lemmi, poi di Ernesto Nathan, cui fu sempre legato. Nel 1900 fu eletto gran maestro aggiunto. Il 15 febbraio 1904 fu eletto gran maestro del grande Oriente d’Italia, imprimendo un’impronta democratica e anticlericale, e insistendo per l’impegno a favore della precedenza del matrimonio civile e della legge sul divorzio e in quello per la scuola laica. Il Ferrari cercava di contrastare l’avanzata dei cattolici nella vita politica italiana, scontrandosi con coloro che invece preferivano prendere posizione a favore del mondo cattolico piuttosto che di quello socialista. Si giunse infine alla rottura che portò alla nascita della gran loggia di piazza del Gesù, guidata da Saverio Fera. Allo scoppio della prima guerra mondiale, il Ferrari si proclamò interventista convinto, considerandola la quarta guerra per l’indipendenza. Nel 1917 partecipò al congresso di Parigi, in cui le massonerie dell’Intesa, ad eccezione di quelle britanniche, si incontrarono allo scopo di elaborare un progetto di Società delle nazioni. Le polemiche sollevate dal timore che la delegazione italiana votasse a favore del principio di autodeterminazione dei popoli costrinsero lo scultore a rimettere il mandato. Lasciata la gran maestranza, fu chiamato nel 1918 a ricoprire la carica di sovrano gran commendatore del supremo consiglio dei trentatré, carica che conservò sino alla morte. Nel 1919 fu nominato gran maestro onorario a vita e nello stesso anno rifiutò la nomina a senatore a vita. L’8 agosto 1922 morì la moglie Maria Carolina. A partire dalla fine del 1922 il Ferrari dedicò ogni suo sforzo a rinforzare il rito scozzese. L’istituzione si stava preparando a stringere le file per difendersi dagli attacchi fascisti, mentre si aprivano le porte ai fratelli del rito simbolico che rifluivano nel rito scozzese. La riforma Gentile spinse il Ferrari a ribadire che lo stato non aveva competenza per l’istruzione religiosa. Per meglio divulgare il suo pensiero, l’artista romano diede vita ad una pubblicazione, Lux, che si occupava di questioni politiche ed esoteriche. Il Ferrari non sciolse il suo rito neanche dopo l’approvazione della legge del novembre 1925 contro le società segrete. Sorvegliato dalla polizia, fu denunciato il 25 maggio 1929, con l’accusa di aver tentato la riorganizzazione della massoneria, e sottoposto ad ammonizione. Morì a Roma il 19 agosto 1929.

Le carte d’archivio.
Il fondo Ettore Ferrari conservato nel Museo Centrale Risorgimento di Roma (pervenute nel novembre 1974 per acquisto da Salvatore Fadda, uno stracciarolo che si era occupato dello sgombero dello studio di scultore di Ettore Ferrari) è solo una parte del ricco archivio Ferrari, attualmente disperso in molte sedi. Le carte conservate sono documenti, stampati, disegni, manoscritti, racconti, saggi, discorsi, semplici appunti, componimenti in versi, autografi su questioni artistiche risalenti agli anni tra il 1866 e il 1926. Materiale eterogeneo che documenta la lunga e attività del Ferrari in campo politico, massonico, associazionistico e artistico. Altri documenti si conservano presso l’Archivio centrale dello stato, la Galleria nazionale d’arte moderna, l’archivio storico del grande Oriente d’Italia.

ETTORE FERRARI
Un artista tra Mazzini e Garibaldi


SCHEDA INFORMATIVA

inaugurazione mostra: martedì 6 febbraio 2007 – ore 11.30


Apertura al pubblico: martedì 6 febbraio 2007 – ore 15.00

Chiusura: lunedì 5 marzo 2007

Orari: dal lunedì alla domenica 9.30 – 17.30

Costo del biglietto: gratuito

Si ringrazia per la cortese collaborazione Emanuele Martinez

nell'immagine, Fotografia dello studio per il monumento nazionale a Giuseppe Mazzini in Roma
1902 L19
Fotografia all’albumina riportata su cartoncino, cm 20,7 x 26,1
Collezione privata, Roma







Attached Image: MOSTRA1.jpg

MOSTRA1.jpg

 
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